Aposimz

Aposimz (人形の国, letteralmente “Il paese dei pupazzi”) è una serie, attualmente in corso di pubblicazione sia in patria che in Italia, scritta e disegnata da Nihei Tsutomu, maestro indiscusso del manga cyberpunk e autore di Blame!, Abara, Biomega e Knights of Sidonia (tutti pubblicati in Italia dalla sezione Planet Manga di Panini Comics).

Traduzione di Giacomo Calorio

Curiosità sulla traduzione

L’opera più recente di Nihei Tsutomu prende le mosse dal medesimo universo narrativo in cui si situano tutti i suoi lavori precedenti, dei quali giungono qua e là echi di luoghi, oggetti, materiali, tecnologie, esseri. Come sempre, tuttavia, l’autore situa la storia entro coordinate indefinite e apparentemente assai remote, nel tempo o nello spazio, rispetto alle altre declinazioni del suo mondo, rendendo labili e opachi i punti di contatto tra una serie e l’altra e suggerendo al contempo le dimensioni macroscopiche dello stesso. Rispetto all’opera d’esordio Blame!, criptico manifesto del manga cyberpunk degli anni Novanta, col tempo lo stile di Nihei si è addolcito, il disegno si è fatto più morbido e luminoso, e anche le strutture narrative sono diventate meno austere e sibilline. Progressivamente, quindi, i suoi manga si sono resi più accessibili e vicini a canoni di racconto tradizionali, e al modello primigenio del racconto algido e impersonale di eroi solitari così forti da non trovare autentici rivali sul loro cammino si sono affiancati, in misura crescente, drammi individuali e collettivi ravvivati, a dispetto dell’immutata crudeltà di temi, ambienti e situazioni, da concessioni sempre più evidenti alla commedia.

A beneficiare di un approccio più “canonico”, lineare e sorretto da un intreccio vero e proprio, è naturalmente anche il traduttore, il quale si trova a che fare con narrazioni meno eteree e sfilacciate, oltre che con un più parco uso di quelle soluzioni “estreme” che di Nihei costituiscono la firma (almeno dal punto di vista del traduttore stesso), quali, per esempio, il ricorso nelle tavole a kanji “defamiliarizzati” tramite la menomazione di alcuni tratti. A essere inalterata in Aposimz è la combinazione di tali ideogrammi in misteriosi neologismi generati in seno a un universo in cui meccanica, fisica, biologia e magia si fondono senza soluzione di continuità in un tutt’uno inestricabile ma di grande fascino. Dal punto di vista traduttivo, tali neologismi rendono ancora più complesso quello che è forse uno dei pochi veri e propri scogli della fantascienza in generale: la presenza di un linguaggio “operativo” e pseudoscientifico da rendere con efficacia in italiano basandosi sul bagaglio lessicale ed espressivo nostrano (bagaglio che naturalmente non attinge solo alla sfera del fumetto, ma anche, se non soprattutto, alla tradizione letteraria e cinematografica).

Se da un lato infatti la fantascienza presenta un linguaggio tendenzialmente asettico, “pulito”, lineare e per questo privo di particolari difficoltà, dall’altro invita il traduttore a trovare un corrispettivo italiano plausibile non solo a strutture impersonali e concise, ma soprattutto ai numerosi tecnicismi e termini inventati di sana pianta, in giapponese costituiti da sequenze di kanji nelle quali si condensano e intrecciano, in combinazioni spesso ambigue, valori semantici talvolta privi di un referente reale, visibile e concreto. Compito del traduttore è far sì che questo linguaggio risulti aderente non solo all’italiano genericamente inteso, ma soprattutto ai nostri canoni del gergo fantascientifico, di cui va restituita tutta l’atmosfera. Nello specifico del lessico fantascientifico di Nihei, la sua peculiarità risiede nella smisurata estensione cronologica del suo universo narrativo (corrispettivo temporale delle “megastrutture” che viceversa ne costituiscono il versante spaziale), la quale talvolta conferisce ai nomi di luoghi, istituzioni, dispositivi e quant’altro, un’impressione di etimologie sfuggenti, erose dal tempo e prive di punti di riferimenti culturali ai quali un lettore di quest’epoca e dimensione, giapponese o italiano che sia, possa aggrapparsi per comprendere appieno i significati che nascondono. Cosa va restituito dunque, in traduzione, di tali nomi e del loro probabile effetto originario sul lettore giapponese? Una lettura chiara, un valore semantico semi-perduto e dal sentore opaco, o addirittura, in alcuni casi, solo quello fonetico (dal sapore però “problematicamente” giapponese, e qui il discorso si amplia e si complica) che del resto è ciò che rimane all’onomastica e alla toponomastica quando l’etimologia si perde nei secoli e nell’abitudine? Al traduttore il dilemma.

Informazioni sulla serie sono presenti sulla pagina dell’editore.